Artling Special Guest: BRUNO DI MAIO



ARTLING Ospite Speciale:
Bruno Di Maio


e-mail: bruno@brunodimaio.it
web site: www.brunodimaio.it

©Copyright 2005 Bruno Di Maio

 

Del piacere dello sguardo...

Il piacere gioioso della forza creativa, nell'equilibrio armonico
attraverso il ritorno alle fonti dell'arte dei maestri del colore.
DI MAIO, dove i pennelli danzano nella luce del sole,
nei cicli della vita come spirali, nei cambiamenti senza tempo
del mondo, come tutto ciò che risiede nel profondo inconscio.
Si liberano con DI MAIO le abili forze contenute nell'incontro creativo
con l'eterno femminile... per dirla alla Goethe:
"L'eterno femminile ci attrae!"
Anche attraverso le fonti del colore in un gioioso invito al piacere
dello sguardo.

(Presentazione di Mauro Nobilini 18 gennaio 2005)


Biografia

Bruno Di Maio è nato a Tripoli (Libia) da genitori italiani , vive e lavora da alcuni anni in Toscana. Si è dedicato per lungo tempo al restauro acquisendo una abilità tecnica prodigiosa.
Pittore, incisore, oltrechè eccellente acquarellista, lavora prevalentemente per una committenza internazionale e le sue opere si trovano oltre che nelle maggiori città italiane, anche a Los Angeles,
San Francisco, New York, Tokio e Madrid presso collezioni pubbliche e private.

Biography

Bruno Di Maio was born in 1944 in Tripoli, Lybia by italian parents. He lives and works in Tuscany, Italy. He has worked for a long time in the restoration field, aquiring a prodigious technical ability. His artistic training extends to paintings, sculpture, engraving, excellent watercolors as well as astounding Trompe l'oeil. His work can be found in private and public collections worldwide.



NEWS

Cattedrali e Dame

Mostra di Bruno Di Maio e Pierclaudio Paneraj

Circolo Culturale "Il Fitto di Cecina"
Corso Matteotti 101, retro
dal 26 Luglio al 10 di Agosto
dalle ore 17.00 alle 19.00 . Sabato e Domenica dalle 17.00 alle 24.00



Dal 26 Luglio al 10 di Agosto si inaugura a Cecina (Livorno) la mostra di
Bruno Di Maio e Pierclaudio Paneraj. Amici nella vita e artisti con spiriti
assonanti che hanno voluto unirsi in una mostra che esplora temi
apparentemente dissonanti. Cosa abbiano in comune le Cattedrali Di Paneraj e
le "Dame" di Di Maio pare, a prima vista, misterioso. Si direbbe banalmente,
il sacro ed il profano, uniti in un improbabile connubbio. Sicuramente non
vi è alcun intento irriverente in questo voler unire temi così distanti tra
loro. Conosciamo le figure femminili di Di Maio, mai volgari e mai
rappresentate, come d'uso oggi, quali ce le mostrano i milioni di irritanti
e offensive immagini sfrontatamnete superflue che ogni giorno ci vengono
proposte con ogni mezzo dai media. I nudi di Di Maio mi paiono un'omaggio
tra i più sinceri e delicati all'universo femminile, dove i soggetti, pur
senza veli e colti nell'intimità, mostrano se stessi senza mai indulgere
nell'esibizione e nell'ammiccamento.  Si direbbe che la Donna viva
incontaminata in un suo universo assolutamente lontano dal nostro a dispetto
del realismo esecutivo. Una Donna del tutto ideale splendida  nella sua
"sacralità". Forse questo mi sembra il punto di contatto con le Cattedrali
di Panerai, una sacralità dove il colore ed il sorriso illuminano il mistero
del loro contenuto. Le sue sculture sono bifronti, quasi a significare la
dualità della natura umana e dei significati che sempre ci vediamo portati a
cercare. Quando sembra di averne individuato uno, subito, a veder le cose a
tutto tondo ne scopriamo un'altro, a volte inquietante, a volte
rassicurante.




BRUNO DI MAIO

"..Ed ecco uno dei più bravi nuovi figurativi italiani, facile, irritante,
difficile, rassicurante, da fare invidia a tutti i suoi colleghi più
affermati e più sostenuti....Di Maio gioca, sogna, inventa effetti speciali
concorrendo con Carlo Rambaldi. Non la  storia, non la citazione di maestri
antichi lo condizionano ma una fantascienza  onirica dove possono apparire
creature  mostruose alla Bosch, perché risulti sorprendente la sua abilità,
in una vertiginosa concorrenza con la realtà, per il trionfo dell'illusione.."
Vittorio Sgarbi


Bruno Di Maio è nato a Tripoli (Libia), da genitori Italiani, vive e lavora
da molti anni in Toscana. Disegnatore e pittore eccellente, lavora
prevalentemente per una committenza internazionale


Bruno Di Maio

L’artista propone costantemente, nei suoi dipinti, questo elemento affascinante che ha delle forti valenze simboliche.
La spirale, base della sua struttura, è stata in molte culture e fin dall’antichità considerata simbolo di perfezione. Fin dalla preistoria questa forma colpì l’immaginazione degli uomini, che la osservarono probabilmente nei cerchi concentrici e nei gorghi che si formano nell’acqua, evocando uno “sprofondare” nelle acque dell’aldilà, il che spiegherebbe perché tali segni spiraliformi appaiano in forma di graffiti (petroglifi) sui grandi blocchi di pietra che in epoca preistorica fungevano da sepolcri. Ma per l’artista la spirale rappresenta soprattutto l’idea di relatività e di inganno della nostra percezione relativa. Se osserviamo la spirale dall’esterno verso l’interno ci dà l’impressione che finisca al centro, proprio come quella di una chiocciola. Se la osserviamo dall’interno verso l’esterno sembra che prosegua all’infinito. Sappiamo però che la spirale, per sua definizione, è infinita nei due sensi. Ma essa rappresenta anche e soprattutto la dualità e l’ambiguità della natura umana e del cosmo: la chiocciola è un animale ermafrodita, maschio e femmina al tempo stesso. La presenza contemporanea di due nature opposte e complementari in uno stesso essere. L’Artista la rappresenta spesso di cristallo trasparente, quasi a sottolineare la fragilità estrema dell’idea di perfezione che si cela dietro la bellezza della forma.
Il bene e il male, il chiaro e lo scuro, lo Yin e lo Yang, in quell’equilibrio precario e perfetto che è il motore della vita.



Lo spettacolo dipinto


Bruno Di Maio è un pittore virtuoso, cioè ricco di sapienza rappresentativa, e gioca volentieri con il pennello padroneggiando il mestiere al punto che lo potresti immaginare mentre realizza il suo spettacolo dipinto ad occhi chiusi, come un rabdomante.
I suoi quadri sono fantasie a volte spericolate, a volte perdutamente misurate sulla attendibilità dei dati percettivi, che il pennello riconduce alle stesure e alle rifiniture più dettagliate, con effetti di consapevole adesione sentimentale alla immagine.
Non so se sia una indicazione autobiografica, o la necessità di rappresentare, come lo specchio di Narciso, una esauriente visione di personali esperienze vissute: fatto sta che la pittura di Bruno si qualifica in questa permanente tensione tra la facilità dell’operare tecnico e il piacere di percorrere i sentieri della infatuazione, della mobilità sentimentale, della avventura esistenziale e fantastica. Così, per lui, la pittura non ha la pretesa del programma poetico. Non sarà mai, per partito preso, verista simbolista surrealista metafisico realista iperrealista citazionista che dir si voglia.
Di Maio vuol essere prima di tutto sé stesso, quale lo conosciamo nella sua veste di professionista dell’immagine dipinta, e al tempo stesso uomo di sentimenti e di sincera commozione un galantuomo d’altri tempi insomma, che vive la sua esperienza di artista con integra semplicità di gesti e di comportamento. All’inganno dell’occhio si conforma la sua favola di linee e di colori, secondo una tradizione antica: e antico è in un certo senso il suo procedere incurante di tutte le oscillazioni del gusto, come se la pittura avesse una ricetta infallibile per guarire i malanni del tempo e per oltrepassare le inevitabili mode.
E’ bello per questo motivo soffermarsi ad apprezzare l’evoluzione narrativa di certe sue tele, popolate di persone viventi e di allegri fantasmi evocati senza la complicità di un dizionario mitologico. Vediamo ad esempio tre caravelle in cielo bigio, sopra una in certa plaga dove si avvicendano personaggi e tempi di una azione simultanea, un suonatore di fisarmonica, uno scultore e la sua modella, un angioletto in bicicletta, due goyesche damigelle dai seni pronunciati come i loro variopinti copricapi, e una ragazza in primo piano, un poco discinta, seduta su di un panneggio che sembra quasi il telo dismesso di un piccolo sipario. La descrizione sommaria di un dipinto ci consente di riflettere un poco sul divagante immaginario che il pittore ci presenta: sommatoria di piccole visioni, abbecedario onirico che non aspira alla consapevolezza, ma tuttavia ha il potere straordinario del racconto, dell’intrattenimento glorioso in un palcoscenico di continuo belvedere.
In questo senso Di Maio scrive in pittura una permanente autobiografia, sia che ritragga persone, o nature morte, o funamboliche e visionarie teratologie. Come il monsieur Dudron di Giorgio De Chirico, il nostro pittore trascrive sulla tela ogni esperienza di vita, attraverso sottilissimi richiami e trame misteriose che possono pure sfuggire al senno del pubblico, purché restino bene stampate nel risultato finale del quadro come evocazione.
A Di Maio, come al Dudron-De Chirico, la biografia serve per spiegare le ragioni che hanno suscitato l’espressione artistica. Egli è un pittore che polemizza, che ragiona, che osserva la vita, che vuole descrivere la sua arte. Per questo tutto diventa per lui “occasione”: perfino una notte “brava” in balìa di una signora “dalle chiome fiammeggianti” può far risplendere meditazioni e osservazioni attraverso le quali costruire un colore o disporre oggetti sulla tela.
E lo immaginiamo come monsieur Dudron, al termine delle peripezie attraversate un po’ controvoglia, un po’ per curiosità incontenibile, che alla fine “si sedette dietro al cavalletto, si armò della tavolozza e dei pennelli e, riprendendo un quadro abbozzato il giorno prima, si mise tranquillamente a dipingere”. Dopo le avventure condite di sogni e di fantasia, Di Maio riprende il suo colloquio col mestiere di pittore e costruisce la sua avventura di artista.
Per questo, nulla è stato inutile, nemmeno il più insignificante dettaglio di esperienza. C’è un fondo di superbia in questa auspicata solitudine del pittore, che è tutta da ascrivere a suo merito se con essa l’erario dell’ arte può acquisire gemme ulteriori. Sentiamo, ancora, il nostro Dudron: …”Nella nostra epoca, la storia dell’arte rimarrà famosa per l’ignoranza di quelli che si occupano di pittura”.
Non capiscono che l’immagine non significa nulla, che l’unica cosa che sottrae una pittura all’oblio è la sua “qualità.” E’ questa definizione della “qualità” come essenza della pittura a farmi apparentare Bruno Di Maio al piglio “eroico” di Giorgio De Chirico nella sua battaglia contro le pulsioni antiartistiche del modernismo ideologico.
E’ una avventura fantastica, d’accordo. Vissuta nell’isolamento, e in forma di anacronistica reminiscenza di generi, tecniche, approcci espressivi dimenticati. E pure, tutto questo modo di vedere, e di fare, in nome della “qualità”, è una provocazione fortemente contestativa del “culturale organizzato” dei giorni nostri, quello che predica l’effimero, la caducità dei mestieri, la stessa dissoluzione entropica dell’arte nel comportamento e nel territorio sociale.
Come De Chirico, che si risolveva a scrutare con ironia il “demone” presente in ogni cosa, Bruno Di Maio si affida al suo fare di mestiere, e all’estro di una narrazione personale e fantasiosa, in polemica diretta col mondo dei critici-intellettuali, quelli che predicano la “nullità” della pittura, tanto quanto la “nullità” dell’essere. Niente di più lontano potrebbe esserci, nello spirito e nella inclinazione di Bruno Di Maio, che vuole trasformare ogni acido corrosivo della esperienza esistenziale in contemplazione, vuoi magica, vuoi serenamente sensuale, vuoi narrativamente malinconica.
Così i suoi personaggi stravaganti, le sue allegorie senza apparente significato, le teporose figure femminili accarezzate da una pasta colorata sapiente, tra il vivido e l’evanescente, diventano una testimonianza costante di un interesse attivo che il pittore ha per il mondo che lo circonda, e che egli attraversa come un “muto ospite”, avido di visione, interprete medianico.
Bruno Di Maio, nella sua sincera offerta di spettacolo dipinto, non mi pare abbia altra vocazione: egli è, puramente e semplicemente, un impeccabile parodista sinceramente e onestamente appassionato della “qualità” che riesce a conseguire nei risultati della sua espressione. E al di là delle “furberie” dei mestieranti, cosa altro mai deve essere, cosa altro mai è, se non questo, un autentico pittore?

Testo di Duccio Trombadori

 

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Per contattare l'Artista potete farlo tramite posta-elettronica all'indirizzo:bruno@brunodimaio.it



 


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