Ormai tutti sappiamo cosa siano i manga , dopo quasi vent'anni dal loro arrivo ufficiale in Italia.
O almeno crediamo di saperlo, semplicemente perché siamo quasi letteralmente sommersi di questi volumetti di provenienza orientale.
Quindi, più che altro, ci siamo semplicemente abituati alla loro presenza.
Facciamo un veloce salto all'indietro per vedere di cosa si tratti in realtà.
Da dove arrivano
Dal Giappone.
E fin qui, siamo tutti d'accordo. La convinzione comune, in Occidente, consiste nel ritenere il manga un genere (come la fantascienza o la soap opera, per intenderci), e qui viene commesso il primo errore fondamentale.
Il termine manga significa 'immagine vagante' (nel senso più ampio del termine, che comprende sia la mobilità , sia la stravaganza ) e se anticamente indicava qualsiasi tipo di disegno bizzarro, umoristico o satirico, a partire dal Ventesimo Secolo il termine è divenuto sempre più indicativo di quello che noi oggi consideriamo il fumetto, in generale.
Dunque, oggi, quando si parlare di manga si intende semplicemente il fumetto giapponese, che raccoglie sotto questo termine un'infinità di generi, ben più di quelli a cui siamo abituati in Occidente.
Nel mondo dell'editoria e tra gli appassionati di fumetto, dunque, si usa il termine manga per tutti i fumetti provenienti dal Paese del Sol Levante, così come si usa comics per quelli americani, o bande dessinée per quelli francesi.
Al contrario di quanto si pensa, i manga così come li conosciamo oggi non si sono 'autogenerati' all'interno del Giappone, bensì sono frutto di una profonda influenza generata dai cartoni animati degli Stati Uniti. L'uomo che viene ufficialmente considerato l'inventore del fumetto giapponese odierno è Osamu Tezuka (1928-1989), non a caso ricordato affettuosamente da tutti come 'il dio del manga': fu proprio lui, nella seconda metà degli Anni Quaranta, a creare il cortocircuito, lo shock culturale e sociale che trasformò le semplici vignette e storielle di una sola pagina in emozionanti avventure di ampio respiro, con Shin Takara Jima (La Nuova Isola del Tesoro) ispirata al celebre romanzo di R. L. Stevenson, e che ottenne un successo strepitoso (400mila copie, in un Giappone che stava ancora uscendo dalla Seconda Guerra Mondiale). Ebbene, lo stile di disegno di Osamu Tezuka fu ispirato nientemeno che dai cartoni di Walt Disney e di Max Fleischer: ecco dunque l'origine dei grandi occhioni dei personaggi nipponici, considerati per anni una peculiarità esclusiva del manga , ma originata in realtà da personaggi come Topolino e Betty Boop . Basti mettere a confronto le proporzioni e le fattezze di Tetsuwan Atom (Astroboy, il più celebre personaggio di Tezuka) con quelle dei due personaggi appena citati per rendersene subito conto.
Ma Tezuka introdusse un'altra grande novità, che è probabilmente la vera peculiarità distintiva del manga : la regia cinematografica. Applicando le regole del cinema al fumetto, fu in grado di creare storie che catturavano l'attenzione dei lettori grazie a sequenze che impedivano all'occhio di staccarsi dalla pagina, poiché ogni vignetta era strettamente legata alle altre, tanto che a volte anche semplici gesti (ma importanti, nel contesto) potevano essere descritti in più riquadri, proprio come se si trattasse di fotogrammi di una pellicola.
Solo da allora iniziarono in Giappone a formarsi autori del manga così come lo intendiamo oggi: guardando all'innovazione portata da Tezuka, e al clamoroso successo generato dalle sue storie stava per nascere la più grande industria del fumetto del mondo, che tra gli Anni Ottanta e gli Anni Novanta ha raggiunto cifre da capogiro, sia in termini di quantità di prodotti, sia per mole di vendite. E non solo entro i confini del Giappone, come ben sappiamo.
Trasformazione! Agganciamento!
Inizialmente, dunque, il manga si occupava solo di storie d'avventura per ragazzi o di storielle umoristiche. Ma là fuori c'era un pubblico molto vasto da accontentare, formato da milioni di persone con esigenze diverse, per età, sesso, e interessi. Innanzi tutto era necessario accontentare anche il giovane pubblico femminile, che apprezzava sì le storie d'avventura, ma che desiderava anche leggere le storie di personaggi femminili in cui identificarsi. Nacque così lo shojo manga (fumetto per ragazze) a fare da contraltare allo shonen manga (fumetto per ragazzi), e il primo a occuparsene fu ancora una volta Osamu Tezuka, con il serial Ribbon no Kishi (La Principessa Zaffiro), nel 1953.
Così come Shin Takara Jima e Tetsuwan Atom avevano generato decine di nuovi autori shonen manga , Ribbon no Kishi diede il via alla produzione di shojo manga , inizialmente realizzati sotto mentite spoglie da autori di sesso maschile (perfino Katsuhiro "Akira" Otomo e Leiji "Capitan Harlock" Matsumoto se ne occuparono, negli anni successivi!), e poi sempre più spesso scritti e disegnati da giovani e brave autrici, che grazie alla loro ottica prettamente femminile riuscirono a conquistare un vasto pubblico di lettrici.
Il primo passo era fatto.
Ora gli editori giapponesi potevano realizzare almeno due tipi di rivista: per ragazzini e ragazzine. La suddivisione del fumetto giapponese in questi due 'rami' fu solo l'inizio per una continua ramificazione che tutt'oggi non si ferma.
Prima di tutto, si iniziò a pensare che i ragazzini, crescendo, avrebbero preferito poco alla volta passare a storie di un altro livello, con altri argomenti, più affini alla propria età e ai propri gusti. Nacquero così nuove pubblicazioni che si differenziavano dalle precedenti non solo per sesso, ma anche per età. Lo shonen manga e lo shojo manga si suddivisero reciprocamente in fasce, indicate genericamente dall'anno scolastico frequentato dai rispettivi lettori (elementari, medie, superiori...) e in cui tutto era volto a rendere ogni singola rivista riconoscibile e gradevole al proprio pubblico di riferimento: disegni sapientemente stilizzati, poco testo, storie veloci e non molto intricate per il pubblico più giovane, mentre per i più grandicelli le sceneggiature dovevano essere un po' più intricate e 'seriali' (in modo da generare l'attesa per l'episodio successivo). Contemporaneamente, per il pubblico maschile la grafica delle riviste era particolarmente vivace, coloratissima, quasi violenta per l'occhio, mentre quella per le lettrici ruotava attorno ad atmosfere romantico-oniriche, con colori tenui, grandi occhi luccicanti e motivi floreali.
Addirittura la stampa stessa delle pagine interne delle riviste era studiata tenendo in considerazione questi fattori, e questo avviene ancora oggi. Per il pubblico maschile, carta colorata con stampa in nero; per il pubblico femminile, carta bianca con stampa colorata: il colore varia ogni cento pagine circa, all'interno di riviste settimanali che vanno da un minimo di 300 pagine, e di riviste mensili che superano comodamente le 700.
Le due soluzioni, benché diverse all'atto pratico e apparentemente bizzarre, sono state studiate per la medesima ragione: mantenere viva l'attenzione dei lettori e coprire un 'difetto'. Il difetto consiste nella peculiarità di tutte le riviste giapponesi di essere stampate su carta riciclata di bassa qualità, sia per mantenere un prezzo molto basso (una rivista di 700 pagine costa in media al lettore 250 yen, pari a circa 1,5 euro), sia per risparmiare carta, visto che ogni singola rivista viene stampata in una quantità altissima di copie: basti pensare che negli Anni Ottanta "Shonen Jump", settimanale a fumetti pubblicato da Shueisha, raggiunse l'incredibile vendita di 7,5 milioni di copie, grazie alla presenza del serial Dragon Ball di Akira Toriyama, il manga più letto e venduto nel mondo.
Pensiamo a tirature che, nel peggiore dei casi, si aggirano attorno alle 400 mila copie, ma che superano spesso il milione. Pensiamo che ogni editore pubblica riviste a fumetti (e non solo) per ogni età, sesso e argomento. Pensiamo che gli editori principali sono circa una decina (fra cui Kodansha si attesta come il maggior editore dell'intera Asia), e che quelli piccoli o emergenti stampano e vendono comunque una quantità tale di copie che in Italia farebbe gridare al miracolo chiunque. In un Paese, il Giappone, il cui livello di alfabetizzazione è quasi pari al 100% (a differenza del nostro disarmante 70% circa), tutti leggono, e il fumetto è uno dei più importanti settori dell'editoria: è impossibile anche solo immaginare la quantità di cellulosa usata quotidianamente per esso, ed è quindi sicuramente un bene - probabilmente per il mondo intero - che decenni fa si sia optato per la carta riciclata.
Anche perché i manga non concludono la loro esistenza sulle riviste. Anzi. Quando un serial ha raggiunto una quantità di capitoli ritenuta sufficiente (ogni editore opta, a seconda della quantità di pagine dei singoli episodi, per circa sei/undici capitoli), gli stessi vengono raccolti in volumetti piuttosto lussuosi, chiamati tankobon , con carta bianca pregiata, ottima stampa con inchiostro nero, e l'aggiunta di una sovracopertina, per tutti coloro che desiderino conservare il serial in questione e rileggerlo a piacere. A seconda del successo ottenuto sulla rivista, una storia può concludersi in pochi volumi, o continuare addirittura per anni e anni: Le Bizzarre Avventure di JoJo di Hirohiko Araki (pubblicato anche in Italia da Star Comics) ha appena raggiunto il ventesimo anno di pubblicazione in Giappone, e ha all'attivo la bellezza di 90 volumi, mentre la serie è tutt'ora in corso e continua a mietere successi. Tanto che - come molti altri serial di successo - viene oggi ristampato in volumi ancora più lussuosi (con aggiunta di parti a colori) per permettere alle nuove generazioni di 'recuperare' le storie più datate e, ovviamente, continuare a leggere quelle nuove su rivista.
Ogni libreria giapponese, oggi, ha un'intera sezione dedicata ai manga (la Shosen Tower di Akihabara dedica loro addirittura due piani), e numerosi esercizi si sono specializzati in questo media, tanto da essere noti anche all'estero.
La forza del manga sta dunque nell'aver coltivato i propri lettori da sempre, accompagnandoli nell'arco di tutta una vita, proponendo loro argomenti che trascendono i semplici generi come li consideriamo noi. Esistono riviste di fumetti ambientati - per esempio - solo nel mondo del golf o del mah-jong, fumetti per casalinghe, fumetti per uomini d'affari, fumetti per amanti del modellismo o del soft-air o del computer. E per tutte le età. Dopo shonen manga e shojo manga , sono nati i seinen e i josei , rispettivamente per lettori e lettrici adulti, che raccontano storie di vita incredibilmente realistiche e coinvolgenti, ma anche fantastiche e satiriche: basti pensare a Black Jack ni Yoroshiku di Shuho Sato, un manga sulla malasanità giapponese che ha ottenuto un livello di vendite altissimo, impensabile in Italia per un fumetto realistico e di denuncia, e che ha colpito talmente duro nelle alte sfere che lo stesso governo si è dovuto pronunciare in materia. Nel frattempo, ci sono già editori che ragionano sulla possibilità di pubblicare fumetti realizzati per la terza età.
E così, mentre da noi il fumetto è sempre stato considerato un sottoprodotto, il Giappone ha saputo trattarlo come normalmente si fa con gli altri media, dal teatro, al cinema, alla letteratura, ed è riuscito a ottenere un clamoroso riscontro globale che è culminato negli Anni Novanta.
Una lezione che dovremmo imparare.
«Come si diventa autori di manga?»
Questa è una domanda che ci viene posta molto di frequente.
Il fatto è che il pubblico più giovane, in Italia, ha iniziato a leggere fumetti iniziando proprio con quelli Giapponesi, che dagli Anni Novanta hanno letteralmente invaso le nostre edicole. Paradossalmente, molti di questi giovani lettori commettono lo stesso errore della generazione precedente e, anche se per motivi diametralmente opposti, considerano il manga 'un tipo di fumetto'. Tanto che molti di loro leggono fumetti solo se sono di provenienza giapponese, e restano stupiti quando 'scoprono' che anche un'infinità opere di altre nazionalità sono capaci di raccontare grandi storie e affascinare esattamente come i loro amati manga .
Quindi, la domanda è semplicemente posta nella maniera sbagliata, e dovrebbe in realtà essere così: «Come si diventa autori di fumetto?».
Anche perché - non lo ripeteremo mai abbastanza - il manga non è un genere, ma il termine con cui i giapponesi indicano la parola 'fumetto'.
L'equivoco nasce da una sorta di canone nazionale per cui, a un occhio inesperto, il cosiddetto 'stile manga' inquadra una miriade di stili diversissimi fra loro: basta accostare alcuni degli autori più celebri per rendersi conto che non esiste uno stile unico, anche se tutti provengono in qualche modo dall'idea impostata sessant'anni fa da Osamu Tezuka. Ma l'albero genealogico degli stili di disegno in Giappone è complessissimo, più o meno come quello delle correnti musicali, e meriterebbe sicuramente di essere studiato approfonditamente in altra sede.
Quindi, chi desidera diventare un autore di fumetti, deve prima di tutto considerare il fatto che si tratta di un lavoro molto impegnativo, a cui è necessario dedicare tanto tempo, e che prima di dare grandi soddisfazioni, inevitabilmente comporta molta fatica e spesso delusioni. Per fare fumetti, soprattutto in Italia, è necessaria una volontà di ferro, e la convinzione che prima o poi si otterranno sicuramente risultati. E tanto esercizio, perché solo con la pratica diretta si impara: una buona scuola (o corso) di fumetto sono sicuramente utili, ma la differenza fra un dilettante e un professionista nasce nel momento in cui si inizia a scegliere da soli la propria strada. Solo a questo punto, dopo aver imparato le tecniche base del disegno e della sceneggiatura, è possibile iniziare a ispirarsi a uno standard, sia questo lo 'stile' di un paese o di un singolo autore. E, successivamente, imparare a crearsi uno stile proprio, in modo da diventare riconoscibili e inconfondibili.
In Giappone l'industria del fumetto è così vasta che gli editori vanno letteralmente a caccia del 'nuovo talento', speranzosi di trovare un nuovo Akira "Dragon Ball" Toriyama o una nuova Rumiko "InuYasha" Takahashi , e lo fanno in due differenti modi.
Il primo consiste in numerosi concorsi per aspiranti autori. Ogni rivista ne indice almeno uno all'anno, alcune (come "Afternoon" di Kodansha) addirittura ne organizza uno ogni stagione. I migliori fumetti presentati dagli esordienti vengono selezionati e pubblicati sulla rivista stessa, ma soprattutto vengono pagati ai relativi autori. A ognuno di essi viene poi assegnato un responsabile, che li aiuterà a sviluppare meglio storia e disegni delle successive opere: se gli aspiranti autori si dimostrano volonterosi e capaci (il che include anche l'impegno a consegnare il lavoro nei termini di tempo stabiliti, solitamente strettissimi), devono poi affrontare la prova più dura, quella dell'apprezzamento del pubblico. Solo i lettori hanno davvero l'ultima parola, e sono loro a decretare il successo o l'interruzione di una serie a fumetti. Alcuni autori oggi molto celebri, all'inizio della carriera non avevano ottenuto apprezzamenti con i loro manga , ma con determinazione hanno cercato di capire quali fossero i punti di forza e le falle della propria tecnica, impegnandosi per correggerli e arrivare così al successo. Da questo punto di vista è interessante la storia di Joji Morikawa , il cui stile di disegno, alla fine degli Anni Ottanta, non riusciva in alcun modo a conquistare i lettori. Dopo anni di amarezza, la sua determinazione lo portò a prendere una decisione molto seria in merito alla tecnica usata, e si costrinse a cambiare modo di disegnare. Cosa che, per un autore di fumetti, è davvero durissima, specie dopo anni di duro lavoro. Questo gli permise, nel 1990, di iniziare una nuova serie, ambientata nel mondo del pugilato: Hajime no Ippo , questo il titolo, fu talmente apprezzato che tutt'oggi è in corso di pubblicazione e ha toccato quota 80 volumi. Ma la cosa più curiosa è che, a partire dal 67° volume, pubblicato nel 2003, il suo stile di disegno è tornato gradualmente quello che inizialmente i lettori non apprezzavano, e di cui invece oggi non possono fare a meno.
L'altro sistema con cui gli editori giapponesi trovano nuovi talenti, è quello più semplice: aspettano che gli aspiranti autori chiedano un appuntamento di lavoro presso la casa editrice per presentare i loro lavori e chiedere un'opinione in merito.
E in Italia?
In Italia il momento migliore per presentare i propri lavori a un editore è, nella maggior parte dei casi, durante una delle numerose manifestazioni fumettistiche disseminate in tutta Italia. In quel caso, si ha spesso la possibilità di ottenere un'opinione sul proprio operato di persona e senza lunghe attese, e nel caso in cui si tratti di materiale interessante, l'editore non esiterà a lasciarvi un suo recapito perché gli inviate qualcos'altro e per tenervi d'occhio.
Per quanto riguarda noi, negli scorsi anni abbiamo organizzato ogni sei mesi circa il NonKorso , proprio per cercare nuovi talenti in un modo nuovo, ispirandoci agli editori giapponesi con cui da sempre collaboriamo. Attraverso i temi proposti, diversissimi fra loro ("Manga Mon Amour", "Il Castello Errante di Howl", "Hiroshima: mai più", "What If?", "Project Remake" e "Kappa Angels") abbiamo scoperto molte nuove promesse, alcune delle quali oggi sono all'opera per diversi editori italiani e stranieri.
Molti di loro sono autodidatta, hanno imparato da soli, altri invece hanno frequentato corsi e scuole. Per quanto ci riguarda, possiamo consigliarvi alcune pubblicazioni che vi indirizzeranno al meglio nell'intricato mondo dell'editoria a fumetti.
Un ottimo punto di partenza è Capire il fumetto - L'Arte invisibile di Scott McCloud (Pavesio). Questo autore spiega a fumetti che cos'è il fumetto, e fa esempi che comprendono opere di qualsiasi epoca e nazione. E' utilissimo per chiunque, anche per chi non desidera diventare autore. Letto questo libro, potreste dedicarvi per diletto a fare i primi esperimenti con Tecniche Manga (Kappa Edizioni) di un gruppo di autori giapponesi radunati sotto il nome comune di Deleter, i quali spiegano addirittura attraverso un libro a fumetti (i personaggi si rivolgono direttamente a voi) quali siano le tecniche per apprendere le basi di questa arte. Subito di seguito, ancora un fumetto, questa volta realizzato nientemeno che da Akira Toriyama, intitolato Scuola di Manga (Star Comics): brevi episodi e vignette umoristiche in cui l'autore di Dragonball risponde ai quesiti sui più frequenti errori che gli esordienti fanno nel tentativo di realizzare un fumetto. Semplice, divertente e alla portata di tutti. Passando a un livello superiore, per chi ha intenzione di mettersi all'opera per imparare seriamente una professione, c'è il fondamentale Autore di Manga in Un Anno (Kappa Edizioni) del CSM Seisaku Iinkai: questo comitato nipponico ha realizzato un vero e proprio corso di studi in due volumi, strutturato in maniera talmente rigorosa che - seguendo quotidianamente le lezioni e gli esercizi proposti - consente davvero di imparare a fare fumetti in un anno esatto.
Successivamente, mentre iniziate a fare qualche esperimento e a creare le vostre prime storie, potete passare a Nuvole di Drago di Natsuko Heiuchi (pubblicato da Star Comics sulla rivista Kappa Magazine dal numero 156 al 168, tra il 2005 e il 2006): questa popolare autrice giapponese di manga sportivi per ragazzi ha realizzato un interessante excursus sul 'dietro le quinte' del fumetto in Giappone, includendo interviste a celebri autori. Leggendo le loro disavventure e i loro consigli, capirete subito quali potrebbero essere le difficoltà che incontrerete nel vostro cammino verso il tentativo di affermarvi nel campo del fumetto. E verrete anche messi di fronte a voi stessi, con domande apparentemente banali ma che in realtà potrebbero farvi riconsiderare tutto daccapo. Tutto ciò, incredibilmente, sempre a fumetti (interviste incluse), e per giunta molto divertenti.
Per concludere, due fumetti folgoranti e illuminanti.
Il primo da recuperare assolutamente è tutta la serie di Manga Bomber di Kazuhiko Shimamoto (Star Comics): tredici albi in cui viene raccontata in maniera epico-umoristica la vita di un autore di manga e del suo studio, con tutte le situazioni in cui quotidianamente è possibile imbattersi. Pur essendo un fumetto comico, è tragicamente e 'fantozzianamente' realistico, tanto che è divenuto in poco tempo la serie più letta nelle redazioni di tutto il mondo. Utilissimo per sapere in anticipo quello che potrebbe capitarvi 'dopo' essere diventati autori.
Il secondo è un libro talmente importante che qualsiasi lettore di fumetti non può privarsene: Tezuka secondo me (Kappa Edizioni) una biografia 'sentimentale' - nel senso più ampio del termine - in cui viene raccontata la storia del creatore dei manga. Grazie a questa biografia tutta a fumetti vista attraverso gli occhi e l'arte di Takao Yaguchi (grande maestro del manga e autore fra gli altri di "Sanpei ragazzo pescatore") è possibile assistere in prima persona alla nascita del fumetto moderno in Giappone, al suo impatto su un paese che usciva sconfitto dalla Seconda Guerra Mondiale, fino al successo degli anni Settanta e Ottanta. E che prende il via (e si conclude) con la morte di Osamu Tezuka. Fondamentale, ma soprattutto di piacevolissima lettura.
Per concludere, due consigli accorati.
Il primo consiste nell'invitarvi a evitare qualsiasi corso di manga scritto o tenuto da autori non giapponesi. Solo un giapponese potrà spiegarvi seriamente le vere peculiarità del segno e della narrazione sviluppatisi nel suo paese nell'arco di molti decenni. Un inverosimile autore occidentale di manga (non ne esiste neanche uno, fidatevi) vi condizionerà nella maniera sbagliata, il più delle volte portandovi a fare scelte qualunquiste ("i manga devono avere gli occhi grandi e i capelli colorati", "i manga devono essere pieni di ragazzine seminude che combattono", eccetera) dettate dalla disinformazione, che vi faranno molti danni senza insegnarvi nulla di concreto. Il fatto che un occidentale dichiari di volervi insegnare a fare i manga , d'altra parte, la dice lunga sulla considerazione che lui stesso ha di questo mezzo di comunicazione: nulla. Come abbiamo detto, i manga sono semplicemente i fumetti realizzati in Giappone. Per questa ragione, un buon insegnante vi dirà "io posso insegnarti a fare fumetti, poi, se vuoi, per acquisire uno stile personale potrai ispirarti a qualche autore giapponese che ammiri". In definitiva, un insegnante onesto.
Il secondo e ultimo consiglio, che a volte può sembrare scontato, riguarda il senso di lettura di un fumetto. A meno che non abbiate deciso di presentare il vostro lavoro a un editore giapponese, se volete essere pubblicati in Italia i vostri fumetti devono seguire necessariamente il senso di lettura occidentale, da sinistra verso destra. Molti giovani aspiranti fumettisti che hanno letto unicamente manga nella loro vita, incorrono nel frequente equivoco che i tutti i fumetti si leggano alla giapponese (da destra verso sinistra), mentre in realtà non è così.
Attenzione, quindi. Se volete fare questo mestiere nel vostro paese, cercate di leggere anche un po' di fumetti occidentali, per meglio capire il mondo che vi apprestate ad affrontare.
E se per caso doveste scoprire di aver fatto qualche errore, ricordatevi che fra tutti gli strumenti di lavoro di un autore ce n'è uno che potete considerare il vostro più grande amico: la gomma per cancellare. Quando non siete soddisfatti, usatela e ricominciate daccapo, senza timore. Sbagliando s'impara, e imparando si cresce.
Proprio come ha fatto il fumetto giapponese nell'arco degli ultimi sessant'anni.
Andrea Baricordi - Barbara Rossi